Più ci penso e più il ciclo che stiamo progettando con Fabio, Roberta, Savino, Silvia per me risponde – soprattutto – al grande desiderio che avverto di tornare a mescolare la mia voce viva con le voci vive degli altr*. Le loro, prima di tutto, e poi tutte quelle degli amici o dei passanti che hanno praticato con noi, negli anni.
Sono così provata da questa “solitudine mascherata” imposta dalla pandemia da avvertire il bisogno fisico non tanto e non solo del contatto ma proprio delle voci vere che vibrano insieme, dei respiri che si ascoltano e si mescolano, di quella particolare percezione che abbiamo, anche ad occhi chiusi, della presenza degli altri intorno a noi. Degli odori e degli sguardi diretti, che si incontrano davvero, cosa che con zoom non è possibile (se io guardo l’altro, l’altro non incontra il mio sguardo; e se l’altro riceve il mio sguardo diretto è uno sguardo finto, perché non lo sto guardando davvero, ma guardo la telecamera).
Quindi mi chiedo: sarà lo stesso anche per gli altri? E immagino che sì, che sia così anche per gli altri. Chissà se è vero…
In questo desiderio, rintraccio lo spazio per alcuni obiettivi che per me sono fondamentali e che abbiamo messo al centro della nuova proposta: VENI, VIDI VOCI.
Si tratta di una magnifica occasione per mettere a fuoco quanto l’incontro con “l’altr*”, chiunque sia, sia anche e forse soprattutto un incontro con la sua voce e con il suo corpo, di cui la voce è una delle espressioni relazionali più intense. In fondo ci incontriamo anche con le parole, ma quelle ormai hanno assunto la volatilità dei messaggi che sono brevi, impermanenti e completamente privi di qualsiasi corpo capace di andare oltre la grandezza del carattere tipografico.
Certo, gli incontri sono fatti anche di immagini che si impigliano negli occhi e poi nella memoria. Ma la sontuosità della voce e del corpo che la esprime sono per me irripetibili. Ascolto, in questi giorni, come se fossi un’assetata alla fontana, le voci delle persone che comincio, finalmente, ad avvicinare: Claudio che ci sta costruendo un muro in giardino, Roberta che ci aiuta con le pulizie di casa, Cinzia che ci porta il latte e adesso non lascia più il bidone al confine con la strada, ma si avvicina un po’ di più e intanto racconta qualcosa della sua vita e dei suoi animali.
Tornare alla voce, dunque. Tornare ai corpi che si incontrano e alle voci che celebrano questo incontro. Desiderare le voci quando qualcuno, un virus magari, ce le vieta. Riflettere sulla profondità dell’incontro con le voci. Riflettere su quella scoperta così radicalmente importante che Savino ci ha sottolineato dal libro di Ida Travi: la parola scritta segna una forma di morte; la voce può celebrare la resurrezione di quella stessa parola.
Il canto, aggiungo io, soprattutto il canto insieme, può celebrare la rinascita e la resurrezione della vita per come la desideriamo, per come temiamo di averla perduta e per come re-impariamo, cautamente, a esplorarla giocando insieme.